sabato 20 febbraio 2016

Profumi

La macchina del tempo ha il suo terminale nelle narici.

"Il profumo dei trucioli di legno che mi riporta alla bottega di Toledo."
"Il leggero stordimento del pennarello avvicinato alle narici"
"Il profumo delle focacce ripiene che sfrigolano nel forno".
"Il minestrone della mia nonna che bolliva nel ronfò"
"Il profumo di pitosforo e salsedine durante una mareggiata a Nervi."
"L'inebriante aroma dell'erba luisa"
"Il profumo stantio del'inverno, quando si riaprono le finestre della casa in campagna."
"L'odore della pelle dei miei figli quando erano neonati."
"L'odore di elettricità che sale dai campi dopo il temporale"
"L'odore dell'erba appena tagliata"
"Lo strascico di profumi che si lascia alle spalle mio figlio adolescente prima di uscire di casa"
"L'odore di pulito delle lenzuola appena cambiate"
"Il timo, l'origano, la menta e la salvia"
"La buccia del mandarino e la cannella"
"La cera appena stesa sul pavimento"
"Il disgusto del pesce andato a male"
"L'odore soffocante dell'ospedale"


Gli odori sono un mondo da esplorare perché fatto di tante gradazioni e sfumature. 

I profumi hanno bisogno di un tempo per agire, per essere memorizzati e lasciare un segno permanente. 

Sono labili, molecole volatili che non si possono fissare su un foglio come si fa con un colore e neppure riprodurre con un altoparlante come una registrazione sonora. 

Per poterli chiamare per nome bisogna perderci del tempo, soffermarsi sulle sensazioni che provocano.

I profumi sono come il presente, lo vivi finché c'è, poi puoi solo ricordarlo oppure puoi inseguirlo nel futuro che non c'è ancora.


Egli entrò in casa sua e si mise a tavola. Ed ecco una donna saputo che si trovava nella casa, venne con un vasetto di olio profumato; fermatasi dietro a lui, si rannicchiò ai suoi piedi e cominciò a bagnarli di lacrime; poi li asciugava con i suoi capelli, li baciava e li cospargeva di olio profumato. (Lc.7)

Isacco aspirò l'odore degli abiti di lui e lo benedisse: «Ecco l'odore del mio figlio come l'odore di un campo che il Signore ha benedetto. ”( Genesi 27: 24). 

“ Il profumo del tuo fiato è come quello delle mele” (Cantico7: 9)


giovedì 11 febbraio 2016

Il nostro primo bacio

Qualcuno ci aveva chiesto qual era stato il nostro primo bacio.
Io con sicurezza ho ricordato lo stretto ingresso  del portone di Via Piombelli. Una porta a vetri oltre la quale un minuscolo pianerottolo permetteva l'accesso a una ripida scala.
Dopo aver trascorso la serata in casa, Maria Teresa mi aveva accompagnato fino in fondo alle scale del sesto piano ed io ho capito che era giunto il momento. E insomma, il bacio ci stava: lungo, appassionato e allo stesso tempo dolce e un po' imbarazzato. Il primo bacio. Come sarebbe possibile dimenticarlo?

Invece Maria Teresa mi aveva spiazzato. No! C'era stato un precedente bacio.

Ma come è possibile, non posso averlo rimosso, che figura!

Eravamo andati col treno a Recco, ed era la prima volta che uscivamo insieme. Un gelato nella gelateria più famosa, una passeggiata mano nella mano vicino al mare, "Il Piccolo Principe"  con un segnalibro alla pagina  in cui si racconta della volpe che si fa addomesticare, per poter imparare anche noi ad "addomesticarci".

Poi il rientro con un affollato treno locale. Io scendo a Nervi, lei rimane a bordo perché prosegue per Genova.
Il treno indugia qualche minuto con le portiere aperte. Io sono sulla banchina, lei tre scalini più in su, ma c'è ancora qualcosa da dirsi, la voglia di prolungare un pomeriggio speciale.
Il suo sorriso e gli occhi luminosi, non posso dimenticarli perché in una persona, con gli anni, tante cose cambiano, ma non il sorriso e luce negli occhi.
Anch'io dovevo essere luminoso, almeno credo. "Teresa, con stupore"  dirò più tardi per descrivere il mio stato d'animo di innamorato.

Il capotreno fischia, il treno sta ripartendo. Con un gesto non premeditato avvicino l'indice alla bocca e vi adagio, con le labbra, un piccolo bacio che poi le indirizzo con un gesto ampio del braccio, come fosse un pennello che dopo aver raccolto il colore dalla tavolozza si muove nell'aria in cerca della sua tela.

Tutto qui.

Maria Teresa aveva insistito. Quello era stato il primo bacio, senza se e senza ma: quel piccolo gesto era stato come la goccia decisiva che aveva fatto breccia nel suo cuore.



Mi baci con i baci della tua bocca!
Sì, le tue tenerezze sono più dolci del vino.


Come un nastro di porpora le tue labbra
e la tua bocca è soffusa di grazia;


Le tue labbra stillano miele vergine, o sposa,
c'è miele e latte sotto la tua lingua


le sue labbra sono gigli,
che stillano fluida mirra.


(dal Cantico dei Cantici)


martedì 9 febbraio 2016

Fare silenzio


Quando frequentavo i primi anni delle elementari, se il maestro doveva assentarsi, chiamava il capo-classe alla lavagna, poi con un segno del gesso la divideva in due parti. Da quel momento subentrava la consegna del silenzio a mani conserte. 
L'occhio del capo-classe, indagatore, scrutava fra i banchi e poi scriveva a sinistra i bravi e a destra i cattivi: quelli che il silenzio non lo rispettavano.

Sì, perché dire silenzio è dire poco. Il silenzio va qualificato per potergli dare un nome.
C'è un silenzio che opprime e uno che libera.
C'è un silenzio che esprime solitudine ma anche uno che perdona senza spendere parole..
E se abbiamo sperimentato il silenzio che allontana, conosciamo anche quello che rappacifica.
Col silenzio si può giudicare, mostrare indifferenza, emettere un verdetto e condannare oppure si può accogliere e dimostrare tutto l'amore di cui siamo capaci.

Ma c'è un silenzio speciale: quello che dà spazio ed espande la nostra percezione della realtà; si potrebbe chiamare il silenzio eloquente.
A parlare allora è il tutto il corpo; lo sguardo, la posizione del corpo e suoi segnali, il contatto di una mano, il profumo della vicinanza, il suono del respiro che ci fa sentire vivi, una voce: quella dell'altro, non più coperta dalla nostra.

Temo di non aver ancora imparato a fare silenzio.