giovedì 9 ottobre 2014

La gente delle cinque e ventidue

L'arpeggio della chitarra di Steve Hackett in Horizon dei Genesis mi sveglia morbidamente alle 5 in punto. 
Cinque secondi dopo sono già in bagno.
Alle 5.17 sono fuori di casa. 

Non è questione di efficienza, se la barba l'ho sistemata la sera prima e se lo zaino è già pronto, se  pantaloni-camicia-e-golfino sono già allineati sulla sedia e se la colazione la preparo e consumo in tre minuti.  Mi sto solo inventando come allungare di qualche minuto il mio breve sonno!

Poi mi scaracollo giù per la scalinata deserta che porta alla fermata del bus. 
Uno può farsi l'idea che a quell'ora prendere un 'autobus debba necessariamente essere un'impresa disperata e quanto mai inaffidabile, invece non è così. Le vetture arrivano con una regolarità da manuale: impensabile nelle ore successive della giornata.
Bene perché, tramontana o non tramontana, non  rischio di rimane intirizzito e far crescere l'ansia di arrivare in stazione troppo tardi.

Sono le  5.22, massimo 5.24 quando salgo a bordo della vettura che in sette minuti mi porterà alla fermata più vicina a Piazza Principe.



Gli autobus del mattino non sono affatto vuoti. Non sono l'unica vittima di un destino avverso che è costretta ad alzarsi prima dell'alba una volta la settimana [frase da leggere in modo drammatico e sarcastico]

Se prendo l'autobus della linea 18 non ci sono dubbi: buona parte dei passeggeri sembra avercelo scritto in fronte che lavora all'Ospedale e va a cominciare il suo turno. Assonnati ma dignitosi.

Se salgo sul silenziosissimo filobus della linea 20  sembrano invece prevalere donne sud-americane. Mi sono fatto l'idea che siano badanti che devono presentarsi alle loro assistite di primo mattino o forse è più probabile che lavorino in qualche impresa di pulizia negli uffici del centro. Mi colpisce l'impressione che trasmettono di essere già a mille, a regime. Il cellulare e il pollice che lo aziona lo stanno a dimostrare senza incertezze.

Il campionario della lunga vettura snodata del bus numero 1 è invece decisamente diverso: ragazzi di colore con addosso vestiti di stoffe colorate, qualche sbandato della notte con la testa appoggiata al finestrino e l'alito pesante che si avverte a tre metri. 
E' evidente l'assenza di operai: d'altronde non ci sono le fabbriche in direzione centro. Ma non ci sono neppure studenti: troppo presto per andare all'università o forse troppo tardi per vederli rientrare a casa dalla loro vita notturna.

Ma fondamentalmente mi sento diverso dagli altri passeggeri!

Il mio obiettivo non è quello di svegliarmi al più presto per cominciare la giornata. Il mio tentativo è quello di rimanere in una sorta di limbo. Semi-sveglio, giusto il tempo necessario per accomodarmi nel posto prenotato sul Freccia Bianca, di  indossare la mascherina per gli occhi e provare a riaddormentarmi...
A quel punto il viaggio si confonde col sogno del dormiveglia.....

                     ... salvo che, periodicamente, un qualche-rompipalle non faccia squillare il suo qualche-phone o che un solerte controllore non voglia ricontrollare il mio non-biglietto (si chiamano paperless-tickets) per la seconda o terza volta. 

Poi se il santo della Puntualità mi ha assistito (dai risultati pratici sembra che gli accendo troppe poche candele!), al momento di togliere la mascherina sono già a Civitavecchia e allora vuol dire che  posso anch'io cominciare la decompressione per presentarmi in ufficio dignitosamente.



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