domenica 26 ottobre 2008

Il gatto cammina sul bordo del burrone.

Il gatto cammina sul bordo del burrone, incurante del precipizio che si spalanca al suo fianco. Con la telecamera riprendo la scena e mi sporgo quanto basta per inquadrare il fondo della parete verticale, qualche centinaio di metri più in basso.
Una voce mi richiama all'attenzione: "Enzo è pericoloso stai indietro!. E' la voce di Mariateresa che però non è accanto a me. Allora mi fermo a pensare che probabilmente siamo in contatto telepatico, che questa possibilità di comunicare tra le menti esiste davvero. Sì perché Mariateresa sta dormendo in questo momento. Al mio fianco. Anch'io sto dormendo e sto sognando.
Sì, sto sognando, non c'è alcun gatto, non c'è alcun precipizio, nessuna telepatia. Il mio subconscio sta creando questa illusione in cui realtà e sogno sembrano intrecciarsi e inseguirsi.

vado un po' a cercare qualche indizio...

...Tutto ciò che può bloccare un percorso e che può mettere in

difficoltà il sognatore. Ma simbolizza anche un processo di gestazione
o la crescita che segue strade non usuali, non facili, che
presuppongono una prova da affrontare, una fase
evolutiva.

Il burrone riflette l’oscurità inconscia, le zone dell’ombra psichica, è qualcosa con cui il sognatore deve confrontarsi per procedere, una sorta di nemico interiore che lo aspetta al varco e con il quale può vincere o perdere.

Possono essere rappresentate situazioni poco chiare, possibili perdite di denaro, perdita di una posizione acquisita, eccessiva ingenuità, facilità nel farsi circuire.Oppure paura: di perdere ciò che si è conquistato duramente, di perdere la propria comoda posizione o una situazione di vantaggio. E' un sogno che suscita domande a se stessi:

In che modo le situazioni che affronto vengono vissute e catalogate come ostacoli e blocchi?

In che modo possano essere realmente affrontate?
Quali sono gli strumenti che permetteranno di procedere?

Il burrone dei sogni è la prova che deve essere affrontata a tutti i costi anche contro la sua volontà, a dispetto della voglia di fuggire o di seguire
percorsi più facili e più agevoli.

Soggettivo o oggettivo che sia il livello interpretativo in cui lo si colloca, il burrone nei sogni
rappresenta lo spazio fra due fasi dell’esistenza in cui è possibile
una crescita interiore, ed in cui può avvenire il cambiamento.



L'altro elemento del sogno è la presenza di una voce femminile: avverte del possibile pericolo, è più che una voce; sembra una presenza rassicurante in costante contatto con le corde interiori più profonde; una persona di cui fidarsi. Naturalmente ricorda molto la figura di una mamma. Ma più che altro una mamma interiorizzata.

Infine il gatto. In fondo mi fa invidia: sarebbe bello essere come lui, capace di camminare sul bordo di un abisso, cosciente delle sue possibilità di equilibrio...

venerdì 24 ottobre 2008

Forze dell'ordine

C'è stato un grande malinteso, il presidente del consiglio ha smentito di aver detto che avrebbe utilizzato la polizia contro gli studenti.
E' vero andate ad ascoltare le registrazioni!
Lui ha parlato di intervento delle forze dell'ordine.
Lo dice la parola stessa: le forze dell'ordine sono quelle che hanno il compito di mantenre in ordine, cioè pulite, linde, lucenti come un lavello di acciaio inox, le nostre piazze e le nostre università.

venerdì 17 ottobre 2008

Napoli: allegro viaggio in taxi

Sono sbarcato all'aeroporto di Napoli e non ho dovuto neanche fare la coda per trovare un taxi libero. Al mio taxista dall'aria simpatica ho comunicato la destinazione: Villa Campolieto - Ercolano.
Dopo qualche centinaio di metri in tangenziale ho capito che non sapeva dove portarmi.
"Ma non c'è problema, arrivati ad Ercolano chiediamo, qualcuno lo saprà".
Così succede: usciamo dall'autostrada, scende dall'auto e chiede ad un paio di passanti. Con i finestrini chiusi non ho modo di sentire quello che si dicono ma lo vedo tornare ottimista...per qualche centinaio di metri, in realtà che le idee non sono affatto chiare.
Si ferma di nuovo, e urla al primo passante a caso: "sapete dov'è Villa Camporaso? "Nooo! Lo correggo io, Campolieto".
"Non ci sono problemi sempre dritto al semaforo a destra poi chiede ancora".
Il semaforo non c'è...il mio autista si ferma ancora e dal posto guida urla ad una signora con la borsa della spesa: "Signora, per caso sa dov'è Camposano?" "Signora" - correggo io - "E' campolieto".
"Lei sempre dritto deve andare".
Ma il taxista non si sente sicuro e dopo qualche centinaio di metri apre ancora il finestrino per chiedere informazioni. Stavolta lo precedo e come il suggeritore in teatro dalla fossa del palco, gli sussurro "Campolieto".
"Campolieto è lì davanti sulla sinistra qualche centinaio di metri ancora".
Arriviamo. "Dottore, ha visto che ci siamo arrivati, glielo avevo detto io". Vorrei suggerigli di comprarsi un navigatore o che forse basterebbe un elenco con le pagine gialle, ma rovinerei tutto.
Villa Campolieto è proprio bella e io mi immergo nel seminario sulla formazione dei manager ICT che mi attende.

sabato 4 ottobre 2008

Come si sceglie l'uomo più potente del mondo

Grande nazione gli Stati Uniti d'America che si apprestano a scegliere il presidente della Repubblica, l'uomo più potente della terra.
Sarebbe lecito aspettarsi delle valutazioni politiche ed economiche, un confronto sulle idee e sugli ideali (!), sugli interessi strategici.
Ed effettivamente, se si vanno a leggere i discorsi e gli interventi dei canditati presidenti e vicepresidenti, i contenuti ruotano attorno a questi temi.
Poi leggi i resoconti a tutta pagina di tutti i quotidiani, inclusi quelli on-line, e cosa ci trovi?
Il nodo della cravatta di Biden non era ben fatto, azzeccati i tacchi a spillo della repubblicana Palin, scelta dell'abito non adatta, il proprio bambino accarezzato teneramente davanti al pubblico...
Alla fine ti convinci che, siccome sono gli indecisi a far pendere l'ago della bilancia di qua o di là, i destini dell'umanità dipendono da una frase mal posta che diventa una gaffe o dalla capacità di fare share davanti ad una telecamera.

America non ci deludere, facci sognare, dai un colpo di reni, convincici che le scelte del governo si possono fare con la testa e non con il telecomando, se lo fai tu, magari poi lo facciamo anche noi.

venerdì 3 ottobre 2008

Grazie, fratello, padre Carlo Martini

Corriere della Sera

Il gesuita parla ai fedeli

Il cardinale Martini: sento
la morte come imminente

L'arcivescovo emerito, ammalato a 81 anni di Parkinson, parla alla presentazione dei suoi scritti su Paolo VI

MILANO — «Io, vedete, mi trovo a riflettere nel contesto di una morte imminente. Ormai sono già arrivato nell'ultima sala d'aspetto, o la penultima...». Il cardinale Carlo Maria Martini parla con un filo di voce ma sorride, «è stato un atto di audacia e anche di temerarietà chiamare a parlare una persona anziana che non sa se potrà esprimere bene le cose o tenersi in piedi», nell'auditorium dei gesuiti di San Fedele non vola una mosca, la gente ha gli occhi lucidi e l'arcivescovo emerito di Milano prosegue sereno, è arrivato appoggiandosi a un bastone ma lo sguardo e il pensiero non vacillano.

La sala è piena, si presenta il libro Paolo VI «uomo spirituale» (ed. Istituto Paolo VI-Studium), una raccolta di scritti martiniani su Montini curata dal teologo Marco Vergottini. E tanti sono rimasti fuori, l'attesa è grande quanto la commozione per il «ritorno» del cardinale biblista a Milano, anche se da qualche mese «padre Carlo» è tornato da Gerusalemme e risiede nella casa dei gesuiti a Gallarate. «Con i vostri tanti gesti di bontà, di amore, di ascolto, mi avete costruito come persona e quindi, arrivando alla fine della mia vita, sento che a voi devo moltissimo», sorride ancora ai fedeli, quasi fosse un congedo. Gli ottantun anni, il Parkinson. E il tema della morte, quello che nel libro Martini chiama con espressione dantesca «il duro calle». Quando l'attore Ugo Pagliai legge il «pensiero alla morte » di Paolo VI, « ...mi piacerebbe, terminando, d'essere nella luce... », il cardinale ascolta col volto affondato nelle mani aperte. «Se dovessi non lo scriverei così. È troppo bello, è meraviglioso, lirico», spiega Martini. «Come ho osservato nel libro, ritengo che il testo di Montini sia stato scritto anni prima, quando sentiva la morte incombente ma non imminente».

Della sua morte, invece, il cardinale parla come «imminente». Ed è qui che ha accenti wittgensteiniani, il pensiero sul limite della vita diventa un'interrogazione sui limiti del linguaggio, «chi si trova in questa situazione, dovrebbe piuttosto sentirsi scarnificato nelle parole, e questo è per me un problema irrisolto: come descrivere una realtà tutta negativa con parole razionali che tuttavia, in quanto razionali, devono esprimere una esperienza positiva». «Dire» la morte. È una riflessione che nel cardinale si è fatta via via più urgente negli ultimi anni. L'anno scorso, nella basilica dei Getsemani a Gerusalemme, aveva salutato i pellegrini ambrosiani con una lectio vertiginosa sulla Passone e l'«angoscia » di Gesù, «il greco il termine è agonia e significa lotta, conflitto, tensione profonda». Martini non ama i discorsi facilmente consolatori, come sempre trova il modo di parlare «al credente e al non credente che è in ciascuno di noi» e guarda in faccia «il duro calle». Davanti all'«affidamento totale a Dio» di Montini, scrive nel libro, «mi sento assai carente. Io, per esempio, mi sono più volte lamentato col Signore perché morendo non ha tolto a noi la necessità di morire. Sarebbe stato così bello poter dire: Gesù ha affrontato la morte anche al nostro posto e morti potremmo andare in Paradiso per un sentiero fiorito».

E invece «Dio ha voluto che passassimo per questo duro calle che è la morte ed entrassimo nell'oscurità che fa sempre un po' paura». Ma qui sta l'essenziale: «Mi sono riappacificato col pensiero di dover morire quando ho compreso che senza la morte non arriveremmo mai a fare un atto di piena fiducia in Dio. Di fatto in ogni scelta impegnativa noi abbiamo sempre delle "uscite di sicurezza". Invece la morte ci obbliga a fidarci totalmente di Dio». È l'insegnamento di Montini, «per me fu un po' come un padre». Perché ciò che ci attende dopo la morte «è un mistero » che richiede «un affidamento totale»: «Desideriamo essere con Gesù e questo nostro desiderio lo esprimiamo ad occhi chiusi, alla cieca, mettendoci in tutto nelle sue mani».

Gian Guido Vecchi 03 ottobre 2008