venerdì 27 gennaio 2006

Le Onde del Destino


In questa mia ricerca, a volte un po’ archeologica, degli episodi e delle emozioni che ti “cambiano”, un posto importante lo occupano anche i film.
Nel periodo in cui mi fu suggerito di andare a vedere il film di cui sto per parlare, stavo attraversando un momento di notevole revisione interiore.
Mi stavo rendendo conto degli effetti profondamente negativi che avevano provocato nella mia vita certe modalità di pensiero - che avevo assorbito in tanti anni di frequentazione - che attribuivano alla sofferenza, al sacrificio, al dolore un ruolo distorto.
La visione di “Le Onde del Destino” ebbe l’effetto dell’ultima goccia che fa traboccare il vaso.
Il film sembrava girato artigianalmente, con immagini spesso traballanti che trasmettevano un profondo senso di instabilità e nausea.
E’ la storia di Bess Mc Neill ragazza di un piccolo paese dell’estremo nord della Scozia, chiuso nel suo rigoroso attaccamento e rispetto delle tradizioni religiose.
L’amore è soffocato dalle regole a costo di rinnegare l’accoglienza, il perdono, la tolleranza.
Betty si innamora e sposa uno straniero venuto a lavorare su una piattaforma oceanica.
Un incidente costringerà il marito ad una vita vegetativa e Bess, con una suprema e folle prova d'amore, si convincerà che per permettere al suo uomo di vivere, dovrà andare incontro a qualsiasi sacrificio, passando sopra alla sua dignità di persona, passando sopra al suo dolore, portando all’estremo limite la concezione dell'amore; Bess che parla con Dio ed affronta ogni umiliazione percorrendo la sua personale via crucis verso l'immolazione finale come se fosse un altro Cristo che muore per salvare l'umanità.
Ma né Bess, né io, né tu siamo Cristo…il sacrificio di Bess mi è apparso folle, inutile. Mi immaginavo Dio Padre, inquietarsi scuotere il capo in segno di disapprovazione di fronte a questa figlia che nel Suo Nome stava perdendosi.

Ho anche pensato a quanti uomini e donne sono stati proclamati Santi pur avendo torturato se stessi e goduto delle sofferenze subite.
E ancora mi sono immaginato Dio Padre, che è costretto ad accettare rassegnato questa visione della santità.

Nell’ultima scena, dal Cielo, un cielo circondato di mare e di nuvole, arriva potente, la certezza del suono di campane in festa, è il Paradiso che accoglie Bess; sì perché comunque lei il suo miracolo, la sua redenzione l’ha compiuta, nonostante l’assurdità della sua strada, Dio Misericordia non ha certo rinnegato la sua insana scelta.

giovedì 26 gennaio 2006

Il mio capo

Cercavo un'ispirazione per esprimere alcuni sentimenti verso una persona, che a volte rimangono, come dire, non propriamente esprimibili in un confronto diretto...

Cliccando sul titolo ( o qui )si accede al sito originale.

Comunque per quei pochi che non conoscono bene l'inglese, ci penso io.....

Confronto fra il mio cervello e quello del capo.













Confronto fra il mio cuore e quello del mio capo













Confronto fra il mio apparato digerente e quello del mio capo

domenica 22 gennaio 2006

"Ce la stai facendo?"

(Sogno del 22/1)

Scendiamo le scale di un grande magazzino. Una persona mi rallenta per farmi vedere un articolo che lo incurisce. Sono pochi istanti ma quanto basta per perdere di vista MariaTeresa che è appena davanti a me. Ripresa la discesa, le scale si trasformano in uno scivolo a spirale con un corrimano aereo per appoggiarsi e non ruzzolare, sembra di essere su uno strapiombo in montagna.
Con voce forte chiamo: "MariaTeresa ce la stai facendo?"; "Sì, va bene", mi risponde la sua voce, rassicurandomi.
Passato questo pericolo rischio di perdermi in un labirinto fatto porte di sicurezza, di tornelli e corridoi semi illuminati. "MariaTeresa ci sei?", e ancora la voce davanti a me in una posizione imprecisa risponde, "Sì, ci sono".
Infine trovo l'uscita.
Mi ritrovo in una grande piazza affollatissima di donne che aspettano i loro bambini e nella confusione continuo a non vedere MariaTeresa. Decido di chiamarla sul cellulare, ma c'è un sovraccarico sulla rete. Mi rendo conto che tutti intorno a me stanno telefonando nello stesso momento.
Aspetto, la piazza comincia a svuotarsi; ora sono decisamente in agitazione e mi assale un vero senso di panico. Finchè in preda all'angoscia urlo: "Aiutatemi, non vedete che non la trovo? Non vedete che il panico mi impedisce perfino di pigiare i tasti del cellulare per comporre il suo numero? Le mia mani stanno tremando!"
Piango con lacrime che sgorgano abbondanti e un violento singhiozzo mi scuote il corpo.

Mi sveglio con il cuore che batte all'impazzata, è ancora buio, sono nel mio letto, MariaTeresa è accanto a me, la realtà.
Torna il tema dell'abbandono, la paura di rimanere solo. Credo che nel sogno la figura di MariaTeresa sia solo simbolica. La presenza di tutte quelle mamme che aspettano e si mettono in comunicazione con i loro bimbi...com'è giusto che facciano. Probabilmente ho rivissuto qualche paura di quando ero piccolo e l'unico mio mondo era la mamma e non sapevo immaginare un futuro senza la sua presenza.

giovedì 19 gennaio 2006

Un terrazzino inondato di sole

Era il 1957 quando lasciammo la Sicilia.
Il papà mi raccontava che riuscire a mantenere la famiglia con il suo lavoro di ebanista diventava sempre più difficile. Costruiva mobili ma i contadini non avevano i soldi per pagarlo se il raccolto andava male, e poi lui non si sentiva tagliato per il lavoro in proprio.
Un conoscente aveva già fatto il grande salto e aveva aperto un laboratorio di falegnameria a Genova, anzi per la precisione a Nervi.
Appunto a Nervi! Poteva andare peggio: una periferia degradata o un centro storico fatiscente.
Qualche giorno fa ho scattato una foto dall'esterno di quella che era stata la nostra prima casa in affitto; intendo dire che per un intero anno avevamo girovagato da una camera ad un'altra e nonostante avessi meno di cinque anni, ricordo il nostro armadio fatto da un bastone in legno appoggiato sullo schienale di due sedie, le cucine da condividere con antipaticissime padrone di casa, la costrizione di rimanere spesso chiuso in camera (per favore senza fare troppo rumore), io che ero abituato a scorazzare per le strade impolverate e sconnesse di Vittoria, io irrefrenabile bambino soprannominato Enzo Mangialegnate.

Ecco, finalmente avevamo una casa nostra!
Però non bisogna lasciarsi ingannare dalle apparenze, quella che oggi è una deliziosa villetta ristrutturata, allora era una vecchia casa scolorita, nella quale noi abitavamo l'ultimo piano, cioè due minuscole stanze; io penso che non saranno stati più di trenta metriquadrati, un gabinetto un metro per un metro, alla turca che, come spesso succedeva allora, si apriva direttamente sulla cucina.
L'unica cosa di veramente impagabile era il terrazzino, inondato di sole, dal quale si vedeva tutto il golfo del Paradiso. Non so quanto tempo ho passato a giocarci con le mie macchinine di latta e i soldatini. E sotto, il vicoletto, dove non passavano le macchine e dove, finalmente, potevo tornare a trascorre qualche ora all'aperto senza pericoli.

domenica 15 gennaio 2006

Racconto di un fidanzamento

“Signor Toledo quand’è che si decide a sposarsi, ha trent’anni ormai” disse la ragazzina continuando a raccogliere le mandorle cadute dagli alberi e sparpagliate nella terra rossa.
La giornata era calda, il sig. Toledo, in canottiera, seguiva il gruppetto di ragazze che raccoglievano nel grembiule i frutti saporiti. Aveva il suo solito sorriso franco e gli occhi gli brillavano. Ma loro erano troppo intente a scherzare e lavorare per potersene accorgere.
“La mia sposa deve ancora crescere” rispose un po’ misteriosamente.
Come poteva immaginare, la quindicenne Salvina, che quel caro amico di famiglia stava parlando proprio di lei.
Lo conosceva da sempre, sapeva la sua storia, i lunghi anni di prigionia in America che lui ricordava con spassosi aneddoti. Conosceva il suo laboratorio di ebanista vicino alla piazza principale del paese. Conosceva la sua incontenibile voracità verso qualsiasi cosa di commestibile gli capitasse sotto tiro e si divertiva spesso a canzonarlo per questo.
Ma pensare che quella risposta avesse un secondo fine, questo no, era proprio impossibile.
E infatti non cambiò nulla per tanto tempo ancora. Le visite continuarono: in casa, mentre lei imparava il mestiere di sarta per uomo; nei brevi soggiorni in campagna: dove c’era sempre tanto da fare ma anche tanto da divertirsi.
Anche quando lei progettò di emigrare in Argentina con gli zii, non si rese conto che anche lui aveva preparato il passaporto, pronto a seguirla, a lasciare tutto.
Sarebbero passati altri dieci anni prima che Toledo si decidesse a parlare con il capofamiglia per chiedere in sposa la figlia.
“Quindici anni di differenza”, sono tanti, pensava Salvina; quel signore era una brava persona ma lei ritornava con la mente ai suoi amori, ai suoi sogni giovanili, al ragazzo che le aveva fatto l’occhiolino ma non si risolveva a dichiararsi.
“Ma ti devi decidere” premevano i genitori. “E’ un buon partito; noi siamo contadini, lui è un artigiano, è una buona famiglia, sono istruiti” insisteva il papà Emanuele.
“Imparerò ad amarlo” si ripetè per l’ennesima volta prima di comunicare la sua decisione. Stavano mangiando le olive nere, un pezzo di cacio-cavallo accompagnato dal pane fatto in casa.

Come nella più classica tradizione siciliana, dopo la nascita del piccolo primogenito ci fu la festa, il cibo in abbondanza, le danze in un grande salone.
Era passato poco meno un anno dal matrimonio, ed era arrivata la creatura su cui riversare tutto l’amore, con la quale consolarsi per tutte le delusioni dovute la differenza di età, di sensibilità, di aspirazioni.
Un giro di ballo, e subito a controllare nella culla cosa stava facendo il picciriddu, un altro giro di ballo e su, a prenderlo in braccio per farsi fare i complimenti: “Quant’è bedduzzu…”; un altro giro di ballo, “Toledo vieni anche tu”,
“Non posso mi fanno male i piedi”.
Un altro giro di…e lo sguardo incontra quel ragazzo giovane, forte, bello.
Un sopracciglio che si alza di qua, una mano che si allarga di là, a dire: “E’ troppo tardi, dovevi pensarci prima”.

sabato 14 gennaio 2006

Il tradimento

Lei balla con uomo negli ampi locali dove si svolge la serata danzante, fra tavolini e sedie dove si sono consumati i colorati aperitivi alla frutta, i dorati superalcolici, i fantasiosi stuzzichini. La penombra e la musica soffice favoriscono un'atmosfera maliziosa e intrigante. Lei balla con un uomo, un ballo che sembrava nato per caso, un giro occasionale, solo la testa di lei, con i riccioli d'oro, delicatamente poggiata sulle alte spalle del partner avrebbero potuto destare un sospetto. Dal tavolino, ancora seduto, il suo compagno di sempre, la guarda, li guarda ad ogni istante un po' più perplesso. Poi con la coda degli occhi coglie il cenno di un cameriere, un'intesa svelata da un sopracciglio che si alza, un piccolo abbozzo con le labbra. E' tutto pronto, un bliz e i due ballerini spariscono nella saletta separata. Il tradimento è consumato, solo in una sala improvvisamente diventata deserta, balza in piedi, sgrana gli occhi, sulle sue labbra non c'è più il respiro; è sconfitto, devastato dalla scoperta, non sa perchè, non sa quando; il suo bene non c'è più.

(Sogno del 13/1)

"Custodisci il tuo cuore con ogni cura, perché da esso sgorgano le sorgenti della vita". (Proverbi 4, 23)

venerdì 13 gennaio 2006

Squadra speciale

Il traffico della città è caotico, per raggiungere la meta, in fretta, non ci sono alternative; salgo in macchina zizzagando nel traffico finchè possibile, poi abbandono l'auto dove capita e proseguo a piedi scansando e urtando la gente senza alcuna importanza; un tram che passa e rallenta è l'occasione per saltarci su, certo è affollato, bisogna sgomitare ma il mio viaggio prosegue di un altro pezzo.
E poi, finalmente, sono ai piedi dell'immenso grattacielo; chiamo l'ascensore, è l'ultima tappa. Arriva, pieno di luci, pulsanti e appendici elettroniche. Programmo la salita al punto più alto; l'ascensore non parte, e non parte neppure dopo innumerevoli tentativi di sboccarlo.
E' inevitabile, deve intervenire la squadra speciale; un gruppo selezionato di persone dalle competenze più varie che dovrà risolvere in emergenza il problema.
Immediatamente vengono avviate le prove attitudinali per la selezione.
Io sfortunatamente non passo quelle logiche e matematiche e sono scartato, ma altre persone che conosco sì!
Sono umiliato non faccio parte della squadra speciale, non posso completare il percorso, non posso raggiungere la vetta del grattacielo.

(Sogno del 5/1)

Quando ci si pone traguardi irraggiungibili o quando il raggiungimento dei propri obiettivi è ossessivo, occorre fermarsi, non c'è alcuna meta sociale, e neppure spirituale o religiosa che possa giustificare la corsa all'infinito.
Per definizione l'infinito non è raggiungibile, spesso chi l'ha inseguito a tutti i costi ha dovuto accontentarsi del posto più vicino che ha trovato e che raggiungibile lo è: il niente, lo zero.
Se questa ansia fosse cosciente si potrebbe definire orgoglio, superbia, il "peccato" della torre di Babele, ma poichè spesso è compulsiva e non consapevole, probabilmente è segno di un profondo disagio interiore e di insicurezza.
Alt!
Rallentare!
Slow!
Guardarsi dentro scoprire valore di se stessi e valori delle persone che amiamo.
Niente squadre speciali di assalto al grattacielo, mai più attraversare la città ignorando tutto quello e tutti quelli che si incontrano.
La meta è intorno a me e già dentro me.

martedì 10 gennaio 2006

Venticinque anni fa nasceva Marta.

Venticinque anni fa nasceva Marta.
E’ rimasta con noi solo quarantasei ore, a causa di un’atresia del ventricolo sinistro, la malformazione congenita con cui era nata.

Sono tanti venticinque anni, soprattutto quando ci sono di mezzo tre figli ormai grandi, eppure il ricordo di Marta è sempre forte, attuale, imprescindibile.

“Basta un giorno…” dicevamo allora, e un giorno è bastato per lasciare un segno indelebile, per tracciare un percorso nella vita dei suoi genitori che passa sempre e comunque dall’esperienza terribile ma anche meravigliosa di quella nascita e di quella Separazione.

9 Gennaio 1981
Ore ventuno circa: le contrazioni cominciano ad essere frequenti, regolari e a superare la soglia sotto la quale abbiamo l’indicazione di andare in ospedale.
Ore ventuno e trenta: Il nostro vicino di casa, ci carica sulla sua cinquecento e ci accompagna al S.Martino.
Ore ventidue e trenta: MariaTeresa è in travaglio.

10 Gennaio 1981
Ore zero e trenta: Nasce Marta Maria.

Nella giornata Marta è nel lettino insieme agli altri neonati; si scattano le prime foto da dietro i vetri del corridoio, Marta viene allattata da MariaTeresa e sembra in ottima salute. La sera arrivano i nonni e gli amici più rapidi.

11 Gennaio 1981
Arrivo in Ospedale al mattino e sono subito convocato dal medico.
Ci sono problemi di respirazione emersi nella notte, la bimba tende a diventare cianotica. Mi parlano del dotto di Botallo, di un necessario e immediato ricovero al Gaslini.
MariaTeresa è già in apprensione perché dal mattino non le hanno più portato la bimba in camera.

Il viaggio in autoambulanza è quasi una trance, io accanto al lettino di una bimba dal colore che tende al blu.
Ore di attesa senza notizie, ma con l’incrollabile certezza che tutto passerà, che tutto verrà chiarito; così è sempre andata la mia vita, sempre tutto si è sistemato in qualche maniera o per l’intervento di qualcuno.

E’ già pomeriggio, quando il dottore si avvicina dicendomi che dopo analisi e verifiche e nuovi accertamenti ancora, non ci sono più dubbi: atresia del ventricolo sinistro, man mano che il dotto di Botallo si chiude, la bambina perde la possibilità di respirare.
Se esistesse ci vorrebbe un trapianto di cuore, ma non c’è.

Mi viene comunicato che se aspetto un po’ potrò vederla un’ultima volta e intanto verrà battezzata e cresimata.
Non so che fare perché mi rendo conto che quella bambina non l’ho ancora accarezzata che c’è sempre stato un vetro fra noi, però MariaTeresa è ancora al San Martino, non ha nessuna notizia.

Così scelgo di andare da lei.

Dell’incontro con MariaTeresa non ricordo più niente, solo lacrime.
E poi l’attesa, in casa, di una telefonata.

Sono le ventidue e trenta, quando squilla il telefono, Marta è già andata via.

Finalmente a questo punto posso accarezzare la piccola e vederla da vicino. E’ bellissima, ha una quantità enorme di capelli morbidissimi, la pelle è di nuovo rosa, ha un’espressione da piccola siciliana.
Per un lungo, lungo attimo sembra che il confine tra la morte e la vita non esista.

giovedì 5 gennaio 2006

5 Gennaio 1980

5 Gennaio 1980:
Teresa con Stupore.

5 Gennaio 2006:
" Un individuo ricco d'amore è spontaneo".
"Quando tocchi qualcuno capisci chi è".
"Abbiamo dimenticato che cosa sia guardarsi l'un l'altro, toccarsi, curarsi l'uno dell'altro".

Come ben sai, sono parole di Leo Buscaglia.
Grazie per insegnarmi ogni giorno questa lezione.
Tuo Enzo

Entropia e Sistema Nervoso delle Mosche

Io frequentavo i corsi di Ingegneria Elettronica e lui quelli di Medicina.
Lo aspettavo ogni giorno e guardavo impaziente dalla finestra quando tardava.
Studiare con lui significava che io stavo alla mia scrivania con i miei appunti di Fisica II e lui su un divano con i suoi di Anatomia. Circa ogni ora si faceva una pausa.
"Sai Bruno" gli raccontavo "il secondo principio della Termodinamica è affascinate; l'Entropia trascina tutto verso il nulla, appiattisce l'universo, e quindi anche noi, in ogni istante; eppure nonostante questa lenta morte, c'è nella natura, la capacità di opporsi: gli atomi che si aggregano, le strutture molecolari, le cellule, la vita, l'evoluzione delle specie, la coscienza; anche se l'Entropia cresce comunque" continuavo in una visionaria descrizione del cosmo "ci è stato dato di sopravvivere al suo destino".
Lui mi rispondeva spiegandomi che aveva appena studiato il sistema nervoso della "mosca" e che era affascinato dai meccanismi che regolano la vita e che la fanno sviluppare.
Ed è strano pensare che ci brillavano gli occhi discorrendo di argomenti apparentemente così aridi.

Fu così che parla oggi e parla domani, comunicando le nostre idee ad altri amici, nacque uno spettacolo fatto di musiche, mimi, immagini, suoni (oggi sarebbe chiamato multimediale - ma allora era il 1974 - questo termine non esisteva) che andò in giro in tanti posti della Liguria.
E sempre tra una pausa e l'alta dello studio nascevano i testi delle canzoni, dei dialoghi delle poesie, si rivedeva il brogliaccio.
Ah dimenticavo di Fisica II il mio voto fu 30/30!

Ci sono voluti oltre trenta anni per rivederci davanti a una pizza, dopo che le nostre strade avevano preso percorsi diversi e saltuariamente ci eravamo sfiorati; e cosa potrebbero avere in comune un laureato in teologia che scrive libri per ragazzi e sviluppa progetti di Editing e un direttore di "Information and Communication Technology"?

Ma io lo sapevo già che sarebbe bastato un niente per riaccendere quel "feeling".
Quando ci si presenta come "...uno che è pieno di dubbi su tutto..." io mi sento a mio agio.
"Anche io ho scoperto il fascino del dubbio" posso rispondere,
"Mi sono preso l'impegno di scoprire chi sono entro i prossimi quarantotto anni!".